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Nuovo orizzonte

Io come scrittore


Il grande orizzonte degli eventi

Il grande orizzonte degli eventi, così mi piaceva immaginare il titolo del sogno che avevo fatto, sì perchè io ai mie sogni dò un titolo, non ci sono regole che lo vietino. É sufficiente consultare il manuale dello scrittore per sincerarsene. E penso che il titolo sia appropriato: camminai parecchio e una volta arrivato all'orizzonte, non vi trovai granchè, nessun evento, ma un paio di scarpe sportive di colore giallo, sporche di sabbia e consunte. Erano della mia misura, n.43. Mi trovavo a piedi nudi e le calzai, le trovai comodissime. Questo orizzonte era tutto bianco e vi avevo notato, a malapena, solo le mie scarpe gialle. Sabbia bianca ovunque, sabbia gelida, finissima, ci si affondava. Pareva sabbia di clessidra. Poi c'era il vento, un vento danzante, orizzontale che prese ad accanirsi contro le scarpe. Le sollevò che ancora le calzavo e perciò venni alzato dal suolo. L'orizzonte sotto di me si fece piccolo e vi vidi un puntino scuro che si muoveva. Poi lentamente iniziai a discendere e il puntino diventò una figura umana che si sbracciava. Era una donna, era Billy, e in mano aveva un foglio stropicciato. Tese verso l'alto la mano libera, ne distinguevo le dita. Io allungai il braccio e riuscii ad acchiapparla per il polso. Hallo hallo! Mi parò davanti al muso il foglio, capii che si trattava di qualcosa di importante, era la mia licenza, quella per esercitare il mio lavoro. Il mio era un lavoro duro che ad ogni incarico riusciva ad impoverirmi di un pezzo d'anima. L'anima non è importante, importante è tutto quello che ci ruota attorno, almeno così mi piaceva di pensare. Eppure non capivo cosa potesse esserci attorno. Bisognava estirpare il quarto ventricolo ed analizzarlo, questo me lo aveva riferito, nel suo manoscritto, un antico alchimista. Costui era vissuto in pieno medioevo e aveva scritto un libro interessante: Dei fondamenti dell'anima ovvero alla ricerca della pietra filosofale. E appunto sosteneva che bisognava analizzare il quarto ventricolo. Io non sapevo cosa fosse, forse il macellaio sotto casa poteva dirmi qualcosa in merito. Mi ripromisi di farlo, ci voleva solo un po' di tempo libero ma ne valeva la pena per accedere a questo sasso filosofale o come cavolo si chiamava.
Guardai Billy, aveva occhi fuori dalle orbite ma era carina anche così. Lei lo era sempre e inconsapevolmente lo marcava. Ma in quel confuso momento, mentre era ferma immobile e mi guardava con quegli occhi di bosco, appariva come un ramo secco che tenta inutilmente di fiorire. Me la sarei scopata anche con il mal di denti. Come detto lei era carina anche nei momenti meno proponibili. Altre apparirebbero orribili.
«Billy, cosa ci fai nel mio orizzonte bianco spettrale?»
«Glauco amore mio...».
«Billy dimmi cosa succede, dove vai?» Cominciò piano piano, a sprofondare nella sabbia. Aprì la bocca ma non ne sortì nessun suono. Sprofondava sempre più e io disperato cercavo di trattenerla, ma scivolava, scivolava inesorabilmente. Poi prese a parlare, a invocare il mio nome. Ma la sabbia le riempì la bocca e lei sparì tenendo ben alto il braccio con la mano che ancora stringeva la mia licenza, salvandola dalla sabbia come fosse la cosa più importante da porgere a me, Glauco, il suo grande amore. L'evento era compiuto, l'orizzonte si era fottuto Billy.

Questi sogni mi facevano impazzire. Mi svegliai male, maledicendo orizzonti, licenze e ventricoli. Erano le nove del mattino, alle dieci dovevo essere a Martellago, davanti al bar vicino alla chiesa. Mi feci un caffè doppio e chiamai Gilberto, il mio assistente:
«Ci sono novità?»
«Ciao capo. Ha chiamato un prete».
«Don Roberto!»
«Sì, proprio lui. Come lo sai?»
«Ho tirato ad indovinare. Cosa vuole?»
«Vuole parlare con te, mi ha lasciato il suo numero di telefono. Devi chiamarlo». Gilberto mi dettò il numero, stavo per interrompere la comunicazione quando veloce aggiunse che una signora chiedeva se le potevamo ritrovare Sissi».
«Chi sarebbe Sissi?»
«É una cagnolina, una barboncina color beige. Cosa facciamo?»
«Fai un giro intorno all'isolato dove abita questa donna, e magari attorno anche agli altri. Se ci sono parchi, controlla anche quelli. Portati dietro dei biscotti».
«Dei biscotti capo? Non mi piacciono e poi non ho fame».
«Dei- biscotti- per- cani».
«Ma capo non mi piacciono neppure i boscotti per cani». Riagganciai e mi vestii velocemente. Eravamo in giugno e faceva parecchio caldo e io il caldo lo odio. Avevo un cane, Patrick. Il mio cane era un tipo sveglio e perspicace, meglio di un umano. Gli diedi da mangiare. A lui piacevano i biscotti, ma non quelli per cani, preferiva quelli per gli umani. Scappai via senza neppure portarlo fuori per la consueta passeggiata.
A Martellago mi aspettava un tizio che doveva parlarmi di una faccenda a parer suo delicata. Riguardava un caso che avevo risolto parzialmente tempo addietro. Diceva di rappresentare la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna. Sbadigliai vistosamente, ero già stanco alle dieci di mattina. Il tizio parlava parecchio, mi meravigliai che tutte quelle parole avessero alloggiato nel cervello o nello stomaco di quel corpo magrolino. Afferrai qualche parola. Praticamente erano stati trafugati dei preziosi appartenuti alla Repubblica Serenissima.
«Senta, venga al sodo che ho urgente bisogno di un caffe». Sentivo di aver sbagliato. Alle persone noiose e insignificanti bisognava dare del tu, altrimenti ingigantivano, nel senso che potevano diventare opprimenti.
«Insomma dimmi cosa vuoi».
«La sovrintendenza mi ha incaricato di indagare, lei dovrebbe rispondere ad alcune domande».
«Spiegati meglio». Lo guardai dall'alto in basso e mi sembrò una mosca. Mi venne voglia di schiacciarlo, ma pensai fosse vietato schiacciare le mosche. All'eliminazione di esse dovevano pensarci i ragni, ma quando ne serviva uno, non lo si trovava. Notai inoltre che questo tipo era pettinato male. I capelli erano orientati in maniera illogica, volevo lisciarlo ma avevo le mani pulite... Una logorroica mosca pettinata male.
«Lei ha indagato, tempo fa, a proposito di un omicidio accaduto nell'istituto dei Giuseppini di Mirano. Era stato trovato morto il direttore».
«Si, si, lo so su cosa ho indagato».
«Il direttore prima di morire, possedeva un antico scritto dove era riportata l'ubicazione di un piccolo tesoro appartenuto al doge Alvise Mocenigo. Conservata con il documento c'era una vecchia chiave che serviva ad aprire una certa porticina che si trovava incastonata in una parete nei sotterranei di un museo di Venezia». L'omuncolo recitava a memoria il suo copione. D'altro canto di tempo ne aveva, trascurava in quel modo la sua capigliatura. Non si pettinava ma imparava a memoria. Un penoso insetto malpettinato ma con buona memoria, c'era da invidiarlo.
«Senti, sovrintendente di cose vecchie, ma perchè non ti pettini?»
«Ma questo cosa c'entra? E poi non sono sovrintendente, ma viceassessore».
«Va beh, viceassessore. Senti, facciamo così. Datti prima una bella pettinata e io rispondo alle tue domande». Il viceassessore spettinato si passò sopra la testa varie volte con la mano. Lo osservai con aria compassionevole. Gilberto non gli era poi troppo dissimile, ma gli volevo bene. In passato Gil mi aveva salvato dal k.o. esistenziale e fisico. Non ci fosse stato lui non ci sarei neppure io. E mi capisco io. Comunque il viceassessore prese a guardarmi come a dire: va bene così? Questo tizio dovevo per forza farmelo andare a genio, non avevo alternative, rappresentava una sorta di pubblico ufficiale e ai pubblici ufficiali insegnano che bisogna portare rispetto.
«Si, si ok. Andiamo al banco che ho bisogno di un caffè». Ci togliemmo dal marciapiede ed entrammo nell'ambiente fresco del bar. Raccontai tutto quel che sapevo e che alla fine dell'indagine il tesoro non si trovò, qualcuno doveva averlo trafugato poco tempo prima, si evinceva dalle tracce fresche lasciate sul luogo. Mi chiese se sospettassi qualcuno ma gli risposi di no. Trovato il colpevole dell'omicidio sul quale avevo indagato, mi ero fatto pagare e me n'ero semplicemente andato. Tutto qui. Che andasse ad interrogare i preti e i laici dell'istituto, forse avrebbe riscosso maggior fortuna. Il sovrintendente non pareva soddisfatto dalle mie risposte e prima di avviarsi all'uscita del locale, mi avvertì che si risarebbe fatto sentire.
«Ehi, ehi, dove vai?- esclamai- non fare il tirchio». Il tizio si diresse alla cassa e pagò malvolentieri la mia consumazione, poi, prima di uscire, si passò contropelo la capigliatura riportando i capelli alla precedente situazione anarchica. Borbottò qualcosa e senza salutare uscì e sparì nella luce abbagliante del sole. Se n'era volato via ronzante fuori dal bar. Io rimasi ancora un po' nel locale e telefonai a don Roberto. Attaccò lui per primo:
«Ciao Glauco devo parlarti posso?» Era agitato, non lo avevo mai sentito così.
«Dimmi Roberto, oppure ti sei deciso a prendere i voti e sei finalmente diventato prete?»
«Non scherzare, lo sai benissimo la scelta che ho fatto».
«Ok tagliamo corto cosa vuoi?»
«Non voglio parlare per telefono. Dove sei?» Stetti un attimo in silenzio per pensare alla risposta, poi dissi:
«Senti Roberto, è quasi ora di pranzo. Ti invito ufficialmente ad offrirti volontario».
«Per cosa?»
«Ma per offrirmi il pranzo».
«Va bene. Troviamoci tra quaranta minuti al centro commerciale “Le porte di Mestre”».
Giornata ottima, avevo scroccato un caffè al sovrintendente di gioielli spariti e ora mi accingevo a scroccare il pranzo al prete mancato.
Più tardi, avevo di fronte don Roberto, anzi Roberto e una piadina ripiena con Brie e ossocollo, una vera specialità che andò a pareggiare il mio cattivo umore.
«Lo avevo immaginato, sei scappato a causa della forza della natura». Il mancato prete non riusciva a guardarmi negli occhi, mentre mangiava osservava i suoi rimasugli di piadina caduti sul piatto. Anch'io li osservavo, ma con bramosia.
«Non sono scappato, ho fatto una scelta». Con una mano acchiappò i suddetti rimasugli e se li ficcò ingordamente in bocca, peccato...
«Si, quella gran figliola era una forza della natura e tu ci hai perso la testa. Senti Roberto, lo so bene la scelta che hai fatto. Se ben ricordi, ci siamo incrociati un po' di tempo dopo le mie indagini. Eravamo precisamente all'autogrill in tangenziale, e mentre facevo benzina ti ho notato su quella BMW ultima serie. Eri in compagnia di una bella figliola, complimenti, e al polso portavi un magnifico Rolex. Non sono un campione d'onestà, ma neppure tu. Non sto qui a giudicarti ma sono spariti dei preziosi di enorme valore dei quali tu avevi la responsabilità del ritrovamento. Ringrazia Dio che non ho raccolto prove su di te perchè nessuno mi pagava per approfondire la questione, ma sappi che qualcuno sta indagando su di te». Roberto aveva l'aria smarrita, ma più che altro, si evinceva da come guardava il bancone degli ingredienti. Forse avrebbe voluto ingurgitare un'altra piadina. Lo riportai alla realtà.
«Ehi ehi! Guarda che parlo con te». Il mio ospite scosse la testa e si pulì la bocca.
«Lo so chi sta indagando su di me, ci siamo visti l'altro ieri. Sospetta di me, ma io non ho quel prezioso sparito».
«Prezioso? Chi ha mai parlato della consistenza del tesoro? E poi ti sospetto anch'io. Come hai fatto a diventare ricco così all'improvviso?»
«Ketty!» Roberto pronunciò quel nome e subito dopo abbassò il capo in segno d'imbarazzo.
«Ok Ketty. E chi sarebbe questa Ketty?»
«Ketty sarebbe la mia donna, è molto ricca: la macchina, il Rolex e il mio abbigliamento, è tutta opera sua».
«Sì certo, e le mie scarpe me le ha regalate la regina Elisabetta. Comunque dimmi cosa vuoi da me, ma attenzione di non rendermi complice». Roberto era ancora in imbarazzo, sapeva di che pasta ero fatto. D'altronde per seguire le mie regole, quelle radicate dentro me, avevo condannato la mia donna a prostituirsi.
«Solamente che a quel tizio, il viceassessore, non gli palesassi i tuoi sospetti, perchè rafforzerebbero i suoi». Mi alzai in piedi, mi rassettai dandomi delle manate un po' dappertutto e me ne andai senza salutare. Così io ero fatto. E poi avevo mangiato a sbafo ed ero soddisfatto. E comunque non mi andava di fare il moralista. Chi ero io d'altronde? Ero un peccatore come tutti e trovandomi nella giusta situazione, avrei inghiottito il rospo degli scrupoli. Ero un sensibile che scappava, ero un sensibile che ostentava fegato e ventricoli magari per cercare la pietra filosofale, per farne cosa dopotutto? Per il desiderio di ricchezza; vecchio clichè scontato, nulla di originale e quindi assomigliavo a tutte le teste di cazzo che si trovano in giro. Ero anch'io una testa di cazzo, ma con dignità e con consapevolezza. Ah dimenticavo, sempre pettinato bene.
Mentre camminavo verso l'auto, ebbi un capogiro e mi ritrovai nel grande orizzonte degli eventi. Billy era sprofondata, risucchiata dalla sabbia. Teneva con una mano, la mia licenza stropicciata, gesto di estremo altruismo. Fui immediatamente vittima di un capogiro. Mi guardai le scarpe, erano gialle. Mi sedetti su na panchina e me le tolsi. Ne venne fuori parecchia sabbia che formò un piccolo cumulo alla cui sommità vi vidi qualcosa che si muoveva e che gridava. Guardai meglio avvicinandomi ulteriormente. Misi a fuoco e vi vidi Billy in formato formica. Piano piano spariva inghiottita e quando non ci fu più, presi a setacciare la sabbia con le mani. Ma non c'era, sparì la luce, mi trovai in ombra. Un capannello di gente si era formato attorno a me.
«Serve aiuto signore? Si sente bene?» Un uomo sui cinquanta si era abbassato a sorreggermi e mano a mano che riacquistavo lucidità, mi accorgevo di varie cose: che costui portava la pistola e nonostante il caldo, portava un cappello. Mi sentii leccare in faccia e mi accorsi che una barboncina beige era lì accanto a me. La guardia giurata dopo essersi assicurata che stavo meglio, se ne andò portandosi via cappello e pistola. Il capannello di gente si dileguò e rimase accanto a me la barboncina beige. Chiamai in ufficio.
«Si, capo, dimmi tutto».
«Caso risolto senza l'ausilio dei biscotti».
«Che vuol dire capo?»
«Che i biscotti non son serviti, è bastato un capogiro e mi è comparsa Ketty».
«Lo sapevo».
«Cosa sapevi?»
«Che i biscotti fanno male ». Riagganciai, mi ricomposi e presi Ketty in braccio. Lo portai in ufficio e incaricai il mio sottoposto di occuparsi della faccenda.
Il giorno dopo il viceassessore volle vedermi al solito bar. Quando mi ci recai era seduto in disparte. Era ben pettinato e sorrideva. Istintivamente con lo sguardo cercai in giro se ci fosse uno schiacciamosche o almeno un ragno.
«Venga, si segga». Mi porse una sedia e mi misi comodo.
«Lo sa, lei mi è stato di grande aiuto?»
«Io? E in che modo?»
«Mi ha riferito che il signor Roberto doveva prendere i voti per diventare prete e invece ci ha ripensato».
«E allora? É cosa risaputa».
«Certo, certo, ma ieri lei mi ha anche suggerito di interrogare i sacerdoti e i laici dell'istituto dove lei ha indagato per quell'omicidio e son saltate fuori cose interessanti».
«Tipo?»
«Che il signor Roberto era responsabile dell'eventuale ritrovamento e del contenuto dello scrigno appartenuto al doge Mocenigo».
«Sì, sì, falla corta».
«É bastato controllare i movimenti bancari del signor Roberto». Accidenti, grave errore. Roberto era stato un ingenuo, era meglio avesse preso i voti, quelli sono innocui.
«E allora? Cosa vuol dire? La sua donna è ricca e gli fa un sacco di regali, fazzoletti firmati e altro...».
«Così credevo, ma ho effettuato un controllo bancario anche su di lei, e indovini un po'?»
«Pochi spiccioli!»
«Bingo, praticamente una morta di fame».
«Beh ci sarà un'altra spiegazione».
«Per esempio?» Volevo schiacciarlo, volevo schiacciare quella mosca pettinata malamente, per vedere quanto marciume uscisse da quell'essere inetto.
«Avrà vinto al totocalcio o al casinò». L'insetto mi guardò di sottecchi e fece un risolino.
Poi di colpo si alzò e si diresse al bar. Rimase giusto due minuti al banco quindi si voltò e si diresse all'uscita, ma ebbe tempo di dirmi qualcosa e dandomi del tu, con tutto i sarcasmo possibile.
«Beviti un caffè, è pagato». Detto questo si stropicciò i capelli e corse via. Io mi alzai di scatto ma quello già era distante. Gli urlai dietro.
«Senti luogotenente dei miei stivali, prima o poi ci rivedremo e ti spiaccicherò al muro con questa sedia».
Tornai al bancone e sorseggiai il caffè, amaro. Volevo calare la pancia ed ero a dieta, anzi quasi a dieta. Ma questo sarebbe un discorso confuso e inconcludente. Non saprei come spiegarmi. Bevvi il caffè e piano piano uscii dal locale non sapendo a cosa pensare. C'erano delle priorità. Da qualche parte Billy respirava e camminava. Non sapevo dove fosse e se mi avesse mollato. Poi Roberto, poveraccio, sarebbe stato incriminato sicuramente. Avrebbe potuto avere una carriera da prete senza fazzoletti firmati e invece si era impegolato con una puttana. Anch'io ero impegolato con una puttana, ma la mia era diversa, cioè come dire che c'è una scaletta di valori anche lì, in quel settore. Insomma la mia era una puttana meno profittatrice cioè questo fatto l'ho tutto dentro e voi lettori non potete capire a meno che non vi foste innamorati anche voi di una puttana o di un gigolò. Non sono stato chiaro perchè la società è bigotta. Dovevo anche interpretare il mio sogno che sicuramente aveva un significato, ne ero certo perchè quando rientrai a casa e mi accinsi a mettermi comodo, mi venne la pelle d'oca per un fatto. Andai in cucina e mi versai una doppia Sambuca e tornai al mobiletto dove tenevo le scarpe e le ciabatte. Io non sono un contaballe, credetemi, ma mi venne da piangere. Mi ero abbassato ed ero lì inebetito a fissare tutte le mie scarpe. Ne presi una e la girai sottosopra. Ne venne fuori della sabbia e indovinate un po'? La scarpa che tenevo in mano era sportiva di colore giallo.

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