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Annibale, lo zombie

Io come scrittore

Annibale, lo zombie


C'era poca luce, solo penombra. Annibale girò la testa di lato e sentì squittire. Lesto acchiappò il topo e lo sentì bello grosso. Si torceva e gemeva. Se lo ficcò in bocca intero, lo masticò e lo inghiottì. Cercò poi di alzarsi in piedi ma ricadde. Riprovò e si mise ritto ma abbassando un pò la testa per via del soffitto che era basso. Non sentiva né dolore né provava emozione. Solo fame. Si guardò intorno in cerca di altri topi ma non ne vide. Procedette in una direzione a caso, vide una sagoma umana ma priva di odore, dell'odore che a lui interessava morbosamente. Gli si avvicinò e gli camminò accanto. Quello zoppicava vistosamente ma non se ne dava pena. Cercava anch'egli cibo. Allora procedettero avanti grugnendo e sbuffando, inciampando e sbattendo ai lati di quell'oscuro ambiente. Si trovavano in un sotterraneo pieno di calcinacci e rifiuti. Fuori era notte e la luna era rotonda e tutta luminosa che illuminava quasi a giorno l'intero panorama. Quando uscirono ce n'erano altri come loro. Vagavano in circolo in cerca di un odore, quello umano. Lui, anzi esso, non aveva anima e neppure sapeva cosa fosse, ma aveva un nome: Annibale, e una cosa aveva di importante, la fame. La fame era una droga per ognuno di loro. Tutti vagavano orbitando inconcludenti attorno a un qualcosa di impreciso. Ogni tanto si cozzavano a vicenda e cadevano silenziosi per poi lentamente rialzarsi tra un grugnito e uno sbuffo. A terra c'erano calcinacci sparsi, tronconi di tubi in metallo, carta stagnola e altri rifiuti. La carta stagnola gli si era grottescamente avvolta ad una caviglia ma Annibale non ci badava. Gli arrivò d'un tratto alle narici qualcosa che lo fece girare da una parte. Anche gli altri si girarono nella stessa direzione. Si incamminarono tutti, alcuni caddero in un delirio di rabbia, ma pigramente si rialzarono. Si muovevano dondolando inespressivi; presero ad aumentare il passo e sempre più veloci si inoltrarono nel bosco. Le foglie a terra formavano una poltiglia di fango per la putrefazione e i pesanti piedi vi creavano dei solchi producendo un sinistro fruscio. Sempre più veloci proseguivano chi affiancato ad un altro, chi solitario, chi in gruppo. Tra i rami e le foglie che si piegavano al loro passaggio, quegli esseri ansimavano pesantemente, ma percepivano una traccia da seguire. Erano tanti e facevano rumore; gli uccelli si alzavano stancamente in volo, i cervi correvano via; ogni forma vivente si dileguava. Sembrava non rimanesse vita in quel tratto di bosco, ma invece qualcosa c'era, non era sfuggito al loro istinto di sentire come un lontano ansimare. Sì, era un atavico e innato istinto. Nel bosco fitto regnava l'oscurità nella quale ogni tanto si insinuavano lame di luce lunare. Lei correva terrorizzata, perdeva sangue dalle ferite per via dei rami più bassi nei quali sbatteva continuamente. Sentiva alle spalle sussurri, voci cannibalesche, rumore di rami spezzati. Ma non pensava; inorridita muoveva speditamente le gambe e singhiozzava. Con le braccia cercava di aprirsi un varco tra i rami e la sterpaglia bagnata. Era braccata, era una preda. Correva, correva e desiderava uscire da quell'intrico di vegetazione; voleva che comparisse un chiarore davanti a sé, la fine del bosco. I piedi le dolevano, braccia e mani erano sanguinanti ma la sua volontà era legata alla luce, lei voleva trovare la luce, solo essa poteva salvarla...
Annibale avanzava a scatti e con difficoltà. Gli altri erano più bravi di lui. Annibale sapeva che era quella la direzione, solo non capiva. Seppure non fosse dotato di intelligenza, aveva l'intuito. Sapeva anche che un tempo era stato tutto diverso e che aveva posseduto un paio di scarpe color marrone, ma ora non era importante. Doveva procedere, aveva fame e le scarpe color marrone non servivano. Ma gli altri erano più veloci. Per terra c'era il fango, c'erano le foglie e gli sterpi. Se avesse avuto un paio di scarpe sarebbe stato diverso, ma perchè poi? Cos'altro avrebbe potuto servirgli? Sì sbarazzò di quei pensieri ed emise un grosso ruggito di rabbia. La preda udì il ruggito e gemette terrorizzata, era un incubo, sì un incubo. Continuò a correre ma e gambe e i piedi le dolevano, era allo stremo delle forze. Vide davanti a sé un canale largo circa cinque metri che le tagliava la strada. Senza esitare ci si buttò dentro e seguì la corrente verso destra. L'acqua a riva era bassa ma sicuramente nel centro era profonda. Vi camminava a fatica. Si voltò indietro e vide che quegli esseri continuavano a seguirla. Scoppiò in lacrime, si sentì perduta...
Annibale proseguiva per conto suo. Era rimasto indietro. Credette di prendere la via giusta ma si trovò davanti anch'egli un fiume che gli sbarrava la strada. Annibale era stato un buon marito, amava la famiglia, dentro sé provava qualcosa che non riusciva a decifrare. Era nostalgia, ma solo una lieve traccia. E doveva camminare; sentiva l'odore dell'umano, ma non il solito odore e aveva una gran fame.
Lisa, la ragazzina che fuggiva, disperata avanzava a fatica nell'acqua, cercava un punto dove poter attraversare. Tempo addietro sua madre la chiamava a tavola, la mattina le preparava il caffelatte. Ora invece, da quel giorno, tutto era cambiato. Si era dovuta tenere nascosta per lungo tempo ma qualcosa era andato storto e quegli esseri si erano accorti della sua presenza. Il canale curvava a destra come a tornare indietro. Lei ormai non rifletteva, solo le attraversavano davanti agli occhi delle immagini. La sua famiglia, sua madre, il padre e il fratellino. Chissà dov'erano. Intanto procedeva ma lentamente. Non riuscì ad attraversare il canale e risalì la riva fino a lasciarsi cadere tra gli arbusti e l'erba alta. Era sfinita.
Annibale avanzava anch'egli tra l'erba alta e gli arbusti. A tratti vedeva con gli occhi della mente alcune immagini. Non provava nostalgia ma forse se possiamo dare un nome a quella sensazione, provava stupore. Per lui il passato era un vano buio, impenetrabile, e allora come spiegare quelle visioni? Grugnì ancora forte e a lungo, come un licantropo. Non riusciva, malgrado la sua inconsapevolezza, ad essere completamente abulico come quegli altri, i suoi simili.
Lisa era pervasa da terrore, vide la sagoma di Annibale sovrastarla e vide anche le sagome degli altri che arrivavano.
Annibale aveva proceduto lentamente in linea retta ma distanziandosi verso destra rispetto gli altri. Ed era arrivato di fronte al canale e sentiva quell'odore, l'odore di umano, ma non come avrebbe voluto; era un odore famigliare. E allora siinsinuò in lui qualcosa di strano, un sentimento. Gli altri esseri erano vicini, troppo e Lisa gridò forte. Annibale rimase ritto davanti a quella ragazzina. Era confuso. Ma era tardi, quella masnada di subumani già si avventava sul corpicino di Lisa e allora Annibale allungò anch'egli un braccio, prese la bimba per il polso e la trasse a sé. Cominciò poi a ringhiare e a ululare che gli altri rimasero pietrificati. Lui, esso o cosa fosse, issò la ragazzina con un braccio brandendo l'altro a tenere distante quella feroce muta e quindi si volse e procedette questa volta più veloce da dove era arrivato. Lisa era disperata ed emetteva forti singhiozzi che Annibale commosso, cercò di accarezzarle il capo e questa, sbalordita, fu percossa da brividi in tutto il corpo. E piangendo disperatamente, attonita, esclamò a gran voce «Papà!»

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