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Il morto innamorato

Io come scrittore

Il morto innamorato

«Infermiere, dove va con quel letto?» Il caporeparto di oncologia era sulla soglia dell'uscio del suo ufficio con sguardo accigliato e osservava tutto. Egli ricopriva un ruolo importante e di responsabilità e non perdeva occasione di rimarcarlo. Di corporatura robusta, brizzolato e di bell'aspetto
«Trasporto il paziente deceduto della camera cinque, il signor Garbin».
«Camera mortuaria e di corsa, poi svelto a sistemare la stanza».
«Si certo». l'infermiere imboccò un corridoio molto lungo, del quale ai lati c'erano delle porte numerate. Salutò vari colleghi ma in special modo Elena, un'infermiera graziosa dotata di parecchia femminilità.
«Morto da poco?» fece Elena indicando il letto.
«Già, e tocca a me traslocarlo».
«Sono stati avvertiti i parenti?»
«Ancora no. Intanto lo porto al riparo. Ciao Elena, ci si vede dopo». Elena che sapeva di essere carina, si prodigò in un sorriso malizioso che non la comprometteva di certo.
Ugo, l'infermiere, spinse col bordo anteriore del letto il grande maniglione anti-panico di una robusta porta accedendo ad un'altra corsia. La percorse tutta, era lucida e bianca, niente porte laterali.
-Poveraccio- pensò- mi ci ero affezionato. Garbin aveva fatto la bella vita fino in fondo. Insisteva sempre che bevessi il caffè che la sorella gli portava. Buono, forte, casalingo. Da vivo era un dongiovanni, sempre vestito bene, capelli neri, tinti, cravatta chiara, e impeccabile nel vestire. Peccato avesse quel brutto male.- Ugo entrò nell'ascensore con tutto ciò che recava e premette il tasto meno due. Là sotto nessuno si recava volentieri. C'era la Tac, la Risonanza magnetica, poi la camera mortuaria e l'obitorio. E inoltre la luce era artificiale. Passarono dei colleghi dallo sguardo impassibile, guance scavate e prigionieri del sottosuolo. Non lo videro e tirarono dritto. Un brivido lo percorse per tutto il corpo. Il pavimento era grigio-fumo, le pareti erano grigio-fumo; si voltò indietro e notò che le divise dei colleghi lasciati alle spalle erano grigio-fumo anch'esse. Infilò un corridoio laterale e incrociò gli stessi colleghi di prima. Li salutò e loro risposero strabuzzando gli occhi.Aprirono bocca ma non dissero nulla. Scomparvero dietro l'angolo della curva portandosi appresso quelle loro divise grigio-fumo puzzolenti di fumo- grigio. Doveva stare attento perchè il pavimento era scivoloso, una polvere finissima creava una patina subdola. Arrivato davanti alla porta della camera mortuaria, premette il campanello e rimase pazientemente in attesa. Passati interminabili minuti e visto che nessuno si faceva vivo, lo ripremette di nuovo aggiungendoci una bussata con le nocche. Poi fattosi coraggio, abbassò la maniglia. La porta era chiusa. Si armò di pazienza e attese un bel po' fino a quando vide arrivare gli infermieri di prima. Ci si avvicinò e chiese
«Scusate, per caso sapete quando arriva il responsabile di qui dentro?» Col dito indicò la porta della camera mortuaria. I due colleghi si fermarono, guardarono prima la porta e poi Ugo. Uno dei due aprì bocca per rispondere. Il nostro infermiere aspettava risposta e notò che il colorito della pelle dei due tizi era anch'esso grigio-fumo, ma di una varietà più chiara. C'era da scommetterci che il caffè del distributore automatico che c'era là nel sottosuolo, fosse anch'esso grigio-fumo.
«Responsabile...cosa?»
«Responsabile, l'addetto alle salme». L'altro collega, quello che era rimasto zitto, alzò un braccio e col dito toccò la porta.
«Il becchino? Cerca il becchino?» Ugo pensò fosse un soprannome. Becchino doveva essere il soprannome del responsabile della camera morturia.
«Sì, sì certo. Non c'è? Quando apre?»
«Il becchino non c'è, è assente».
«Si ok ho capito, ma quando torna?» I due tizi si guardarono poi uno dei due esclamò:
«Il becchino si è recato in portineria per una pratica».
«Io non posso stare qua, ho da fare cose urgenti. Posso affidarvi la salma oppure lasciarla qui incustodita? Vado ad avvertire il becchino e torno». Ma i due si erano incamminati da dove erano venuti. Dopo pochi passi già non li si notava più confusi tra i monotoni colori dell'ambiente. Cosa fare? Ugo decise di tornare indietro rifacendo il percorso per poi deviare verso la portineria, e di gran fretta. Voleva risolvere al più presto la questione. Fece quindi dietro- front e riprese l'ascensore. Quando sbarcò al piano terra, notò che c'era una gran folla e realizzò che non sarebbe riuscito a passare, la barella era troppo ingombrante. Il piano era colmo di gente e la portineria era là davanti a circa quindici metri, vicina ma inarrivabile. Impensabile farsi strada. Pensò a lungo e poi prese una decisione, l'unica che gli parve sensata. Parcheggiò il letto rasente la parete e prese il morto in spalla. Pesava parecchio e sì che lì in ospedale la dieta consisteva in purè e pollo lesso, non c'era pericolo di ingrassare. Povero Garbin, era ridotto alla stregua di un sacco di patate ma aveva avuto l'accortezza di avvolgerlo per bene nel suo sudario, era il minimo che potesse fare per lui. Si fece largo tra la folla sbatacchiandolo a destra e a manca. La testa avvolta di Garbin si trovò appoggiata sulla spalla di una ignara signora che dall'altezza che aveva, si prestava bene a sorreggerla. Con i piedi del morto spingeva via la gente che aveva davanti e quando arrivò al bancone della portineria, emise un sospiro di sollievo e vi sbattè sopra la salma che fece un tonfo sordo, liberandosi del gran peso. Il portinaio lo guardò di lato senza però dargli troppo retta perchè subissato dalla pressione della gente. Ugo parlò ad alta voce, voleva farsi sentire. Nonostante il portinaio non gli prestasse attenzione, egli sbraitò forte chiedendo dove fosse il responsabile della camera perchè aveva lì sul bancone una salma. Il titolare dell'ufficio di accettazione e tutte le decine di persone che stavano lì attorno d'un tratto tacquero. Per un problema di rete si erano verificati vari problemi e tutta quella gente chiedeva notizie dei propri cari in quanto le visite nelle stanze erano state interdette. Il portinaio fece occhi increduli e mormorò
«Volete dire che qui sul mio bancone avete appoggiato un cadavere?» Tutte le teste delle persone che erano in quel grande ambiente, viste dall'alto, potevano sembrare pezzettini di limatura di ferro che si orientavano verso la calamita.
«Certo- fece Ugo- non sapevo dove appoggiarlo. Comunque tranquillo, è fresco, morto da poco ed in vita era una gran brava persona». Una donna dall'apparente età di cinquant'anni si fece largo tra la folla chiedendo gentilmente permesso e si avvicinò al cadavere scoprendogli il viso mormorando: «Grazie al cielo non è mio figlio». Prese l'esempio un'altra donna anziana con un velo che le copriva la testa fino alle spalle: anch'ella volle vedere la faccia del morto. Altre persone presero coraggio e si avvicinarono minacciose e altre ancora dal fondo del salone si alzavano in punta di piedi. C'era chi saliva su una sedia nella speranza di capire chi fosse il defunto. Era tutto un via- vai di persone che si avvicinavano a visionare i connotati del cadavere. Addirittura ci fu una donna anziana che si mise a gridare sostenendo che il cadavere si fosse mosso. Aveva visto muovere le palpebre, e se era ancora vivo bisognava misurargli il battito cardiaco. Un infermiere sbucato dal nulla tastò il polso e dopo essere salito in piedi sul bancone del portinaio, dichiarò a gran voce che il cadavere era morto del tutto. Ci furono obiezioni e domande sul significato analitico delle parole. Ma l'infermiere subito dileguò. Una donna si lamentò che qualcuno l'aveva palpeggiata e tutti si misero a ridere. Un uomo, sui cinquanta, salì sul bancone e raccontò una barzelletta sui morti ma non rise nessuno. Venne scalzato dal suo posto da un operaio in tuta e con la coppola che sostenne l'uguaglianza tra padroni e operai e dichiarò legittimissimo lo sciopero delle maestranze in quanto tutti avevano diritto ad uno stipendio dignitoso. Allorchè gli fecero notare che il servizio era sospeso non per sciopero, bensì per un black out del sistema informatico. Salì subito un giovane di bell'aspetto che spinse giù l'operaio e impossessatosi della salma, la issò di modo che potessero vederla tutti. Ci furono svenimenti da parte di parecchie donne e il giovane fu ammonito dalla poca delicatezza del suo gesto. Nel frattempo il becchino si era fatto avanti protestando su ciò che succedeva, ma fu subito allontanato in malo modo da alcuni facinorosi i quali presero posto sul bancone mettendosi a saltellare brandendo un fiasco di vino. La salma era sostenuta di modo che risultasse in piedi tanto da dare l'impressione che si fosse messa a ballare. Le fu tolto il sudario e rimase in pigiama e le fu legata ad una mano il fiasco ancora pieno a metà. Poi fu chiamata sul bancone la donna che era stata palpeggiata, lei salì e venne aiutata da un grassone che la buttò su spingendola per le chiappe. Subito uno di quelli che erano sul tavolo la prese e l'avvicinò al morto e con una corda che sbucò improvvisamente da chissà dove, la legò per la vita ben stretta al cadavere. Lei urlava e mentre lo faceva, le veniva versato in bocca il vino dal fiasco sorretto dal morto. Intanto tutto quel tumulto di gente non restava certo impassibile. C'era chi cantava, chi bestemmiava e chi ancora tentava di avvicinarsi al defunto. Ugo si era fatto in parte, pensava che tutto quel che accadeva non fosse dovuto a sua responsabilità. Vide improvvisamente il becchino che tentava di rialzarsi da terra e gli si fece subito vicino aiutandolo nell'intento. Lo prese per le mani e issò su. Questi faceva parte del personale che operava nel sottosuolo ed era perciò anch'egli color grigio-fumo. Senza ringraziare si fece spazio tra la calca e scomparve alla vista. Dalla moltitudine vennero fuori i due infermieri del sottosuolo e gli si accodarono indolenti. Ormai l'ambiente era un vero e proprio bailamme e sul palco vi erano cinque persone di cui una non- viva. La donna, quella alla quale le avevano palpato il culo, ormai ubriaca si era lasciata andare e rideva a crepapelle. Ad un certo punto Ugo salì anch'esso sul bancone per porgere alla donna il borsello che aveva perso montando sul tavolo, ma venne subito ricacciato. Il borsello cadde nuovamente a terra e si aprì dando mostra del contenuto. Ugo raccolse tutto e non potè fare a meno di leggere ciò che vi era scritto sulla carta di identità.
Ugo conosceva abbastanza bene il signor Garbin, era stato un uomo galante che lo aveva preso in simpatia e perciò gli aveva confidato alcune cose. Gli aveva raccontato di avere moglie e figli, ma si lamentava che nessuno era mai venuto a trovarlo tranne la sorella che gli portava qualcosina da mangiare e il suo meraviglioso caffè. Sapeva che la moglie era afflitta e in depressione e che appena ristabilitasi, si sarebbe recata a trovarlo. Lei soffriva perchè il marito la tradiva ripetutamente e lui era dispiaciuto e voleva cambiar vita, dedicarsi completamente alla famiglia. Era giusto così e Ugo annuiva e plaudiva. Ma con quel male maledetto Garbin era relegato all'impotenza. Avrebbe voluto vedere la moglie ora che il suo stato di salute vacillava. E proprio il giorno prima le aveva telefonato giurando di amarla e che non l'avrebbe mai più tradita. La moglie commossa era scoppiata a piangere e tra le lacrime aveva promesso al marito che sarebbe certamente venuta al più presto. Era una bella donna e tutti le guardavano il culo e volevano palpeggiarla. E ora lei meschina, ubriaca e ignara, si era lanciata in una grottesca danza col suo uomo finalmente tutto suo e completamente abbandonato ad essa.




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